lunedì 29 agosto 2011

Cammini proprio come un'europea


28/8
20:52

Pigiama, letto, la mia nuova insalata di avocado e Einaudi che in sottofondo mi suona Melodia africana.
Adesso capisco il suo alternare note lente e veloci, è un po’ come la vita qui: scorre lenta e veloce allo stesso tempo. Puoi stare un’ora ad aspettare al luogo dell’appuntamento fermo ed in silenzio, accanto ad altre persone che aspettano non si sa cosa. E poi devi lottare per salire sui taxi stracolmi all’ora di punta, gli stessi taxi che sfrecciano a zig zag per le strade e che ti fanno correre quando attraversi la strada.


La pioggia in questi ultimi giorni sta portando via tutto. Porterà via anche il colore dei miei vestiti che da tre giorni sono appesi fuori sperando di asciugarsi. Di solito pioveva una volta al giorno, adesso sembra che anche il tempo si sia stufato della stagione delle piogge e vuole scaricare tutta l’acqua in una sola settimana. No, illusione. Continuerà così almeno fino a metà Settembre. E quando inizia non ti da nemmeno il tempo di ripararti. L’altro ieri al sentire le prime gocce ho subito cercato riparo sotto dei portici, sono arrivata a destinazione già mezza bagnata. Il provvisorio riparo ospitava almeno altre cinquanta persone e altre ancora se ne aggiungevano, più bagnate di me. I venditori ambulanti l’hanno preso come il loro momento di pausa. La pioggia ha iniziato a diventare violenta e insistente. Dopo quasi dieci minuti le strade erano fiumi e l’acqua iniziava a salire sul nostro marciapiede. Lentamente, ma senza mai fermarsi , camminava verso di noi e noi piano piano ci spostavamo. Minuto dopo minuto, passo dopo passo, eravamo accalcati tutti nello stesso punto. L’acqua della pioggia dovrebbe avere il colore dell’acqua, al massimo quella che si poggia sull’asfalto si sporca. Qui è totalmente marrone-terra. Alcune donne hanno affacciato i loro piedi sulla strada e hanno iniziato a lavarli, lo stesso facevano altre persone nel marciapiede di fronte a noi. Un ragazzo si è alzato i pantaloni ed ha iniziato a sguazzare nel lago temporaneo che si era ormai formato accanto a noi sotto ai portici. Ha anche lavato alcuni oggetti che poi ha riposto nella sua bancarella portatile.
Non sembrava voler smettere, anzi alcuni tuoni avvertivano che non avrebbe smesso ancora per un po’. Io e Mule, il ragazzo che era con me quel pomeriggio e che come me è arrivato a casa zuppo, abbiamo deciso di muoverci. Eravamo in ritardo e non potevamo stare ancora per molto lì sotto ad aspettare. Abbiamo provato ad attraversare la strada, ma l’acqua ormai sfiorava il marciapiede. Allora abbiamo provato a cambiare strada e siamo arrivati alla fine del marciapiede. Una donna davanti a noi si è fatta coraggio e ha attraversato la strada, con i suoi sandali è entrata nel fiume che l’ha coperta fino ai polpacci. Cambiare strada di nuovo. Questa sembrava percorribile, ma appena abbiamo provato ad abbassare il piede eravamo fradici fino alle caviglie. L’unica soluzione è stata fermare una macchina, un grosso macchinone bianco con una donna dentro, per chiederle di farci attraversare la strada in macchina. Credo lavori per le Nazioni Unite, o almeno così mi ha suggerito l’adesivo sul parabrezza. Dentro la temperatura era almeno dieci gradi in più di quella che c’era fuori, ambiente asciutto e lei asciutta e a maniche corte. Scesi dalla sua confortevole macchina ho continuato a sguazzare nelle mie scarpe allagate per tutto il pomeriggio. Io l’ombrello non lo compro.

Quando sono in Italia e cammino in gruppo spesso mi sento lenta rispetto agli altri. Le mie gambe sono più corte e forse sono anche più fiacca degli altri. Qui, più di una volta, mi sono sentita dire “cammini proprio come un’europea!”. Troppo veloce. Ho imparato che se si cammina solo per il gusto di camminare, se stai facendo una passeggiata, la tua andatura deve essere lenta, devi camminare all’africana. Se invece hai qualcosa da fare, hai un appuntamento o sei in ritardo allora devi camminare all’europea.

sabato 27 agosto 2011

Il sogno dello shoes shiner


1 Birr – solo acqua (circa 4 centesimi di euro)
2 Birr – acqua e sapone (circa 8 centesimi di euro)

3 Birr – acqua, sapone e colore (circa 12 centesimi di euro)


Di notte camminando per le strade di Addis i marciapiedi sembrano cimiteri di massi. Massi grossi quanto un’anguria, fermi uno accanto all’altro.
Di giorno camminando per le stesse strade di Addis i marciapiedi diventano distese di schiene piegate e braccia in movimento.
Nella stagione delle piogge gli shoes shiner lavorano duro.
Hanno sette, otto, nove, sedici, venticinque, trent’anni. Raramente sono donne.
Età diverse ma lo stesso sguardo di chi possiede un’umiltà senza eguali.
La maggior parte di loro, ho appena scoperto, viene da alcuni villaggi a sud di Addis.
La loro cultura sembra una parodia del sogno americano: iniziare a lavorare come shoes shiner, guadagnare il più possibile, dare il meglio di sé durante la stagione delle piogge e racimolare negli anni un gruzzoletto tale da poter aprire un
Suk bederete, una sorta di mini tabbaccaio che vende un po' di tutto.
Alcuni bambini invece lo fanno come “lavoretto estivo”: le scuole sono chiuse, la pioggia è costante, le scarpe costantemente infangate e portare alcune decine di Birr a casa a fine giornata non è certo di troppo.

Tra un paio di scarpe da pulire e l’altro si concedono di stare seduti sul loro sgabellino, solitamente trono dei loro clienti, richiamando l’attenzione dei passanti con cenni verso il basso a indicare il fango che loro in pochi minuti potrebbero portarti via. Se inizia a piovere spariscono oppure restano in attesa sotto ad un riparo temporaneo fatto di un telo di plastica e due bastoni. Appena il cielo decide di smettere il lavoro riprende frenetico. Alla gente credo non piaccia andare in giro con le scarpe infangate, preferisce sedersi e lasciare a qualcun altro il compito di pulirle.
E i loro visi tornano ad accostarsi al tanfo dei piedi di passanti sconosciuti.

Ieri un impertinente (come direbbe qualcuno) shoes shiner ha indicato le mie nike nere dicendo che erano davvero sporche.
Ha ragione, ma io proprio non ce la faccio.

venerdì 19 agosto 2011

Hoya Hoye




La porta è aperta.
Puoi sentire i loro passi veloci correre su per le scale, accompagnati da un tintinnio invitante.
Spuntano sulla soglia di casa e iniziano a cantare e battere le mani. Un ritmo costante e le loro voci che si alternano cantando lo stesso verso più e più volte. Circa due minuti di cantilena, senza sosta. E io davanti a loro affascinata che rido.

Anche la sera precedente, verso le sette, un altro gruppo di bambini aveva cantato per noi davanti alla porta e avevamo dato loro delle monete pensando semplicemente che si fossero improvvisati cantanti di strada per guadagnare qualcosa. Oggi invece ho scoperto che il 19 Settembre qui in Ethiopia si festeggia l’ Hoya hoye ( o Buhe, ma l’altro nome mi piace di più), nata come festa religiosa e oggi diventata un rito quasi del tutto pagana. I due giorni che precedono la festa è tradizione che gruppi di bambini vadano porta a porta a recitare questa canzoncina. Non chiedono soldi, mi hanno spiegato che loro attendono solo una ricompensa per la loro performance. Caramelle o monete per loro è lo stesso.

La canzone finisce e restano fermi in attesa. Chiedo loro cosa vogliono e ridono. Non ricordo i loro nomi e anche se li ricordassi non sarei capace né di scriverli né di pronunciarli. Sono cinque: due hanno otto anni, uno nove, uno dieci e uno tredici. Alcune monete è tutto quello che ho, due per uno e sorridenti mi salutano.
L’ultimo della fila, prima di scendere le scale, si gira e mi urla “ lela’ gize enigenagne”.
“Cosa vuol dire?” gli chiedo.
“Ci vediamo un altro giorno!” torna indietro mi da il cinque e se ne va.

Alcuni minuti più tardi ho sentito lo stesso ritornello provenire dal palazzo di fronte.

lunedì 15 agosto 2011

Come la plastica



14/08/11
22:34

La nostra cena è sul fuoco: noodles, così per cambiare.
Uno di fronte all’altro a parlare di noi, o meglio di come l’uno vede l’altro.
L’argomento oscilla, poi si ferma sul significato dell’amicizia.
“Hai presente la plastica? Ecco quando metti la plastica sul fuoco si brucia, ma quando si raffredda diventa più dura. Così è l’amicizia. Non bisogna spaventarsi di dire ciò che si pensa dell’altro. Bisogna arrabbiarsi, litigare se è necessario. E all’inizio potrai pensare che l’amicizia si sta sciogliendo. Invece no, sta solo diventando più forte”.
Sono rimasta in silenzio per alcuni secondi, poi ho sorriso alle sue parole.

Troppe volte ho lasciato che la plastica bruciasse, senza usare il fuoco. Solo con la mia paura di arrabbiarmi. Ma da più di un anno ho compreso il meccanismo dell’ “effetto plastica” e ora so come funziona e a volte so anche metterlo in pratica.

Qui è davvero tutto diverso, per comprenderlo devi aver lasciato a casa i tuoi schemi mentali e provare a creartene di nuovi. Ma parlare con una persona nata e cresciuta kilometri lontano da te può farti capire che alcune cose non cambiano, nemmeno da un continente all’altro.
E l’amicizia è una di queste. Come la plastica può cambiare forma, bruciare, rafforzarsi e indurirsi. Se non è di buona qualità magari si sfalda e ti restano in mano solo alcuni scarti. Come la plastica ha varie forme e vari colori. Qui la mia plastica ha la forma di una risata appena svegli, di una chiacchierata sedute all’aperto da quando c’è il sole a quando inizia a calare, del bacio della buona notte, di una canzone da ballare, di una da cantare, ha il colore del fango che fa da sfondo a una passeggiata, del grigio del cielo quando piove, ha il colore di una pelle diversa e uguale alla mia, ha il profumo di una sigaretta in balcone, di una cena a base di noodles seduti sul letto e di una di shiro servita al ristorante. Ha il suono della voce di qualcuno che ti chiede se sei felice e della tua che risponde convinta di sì. Ha addirittura il nome di un centro commerciale, “Friendship”. Penso che se avessi visto in Italia un centro commerciale chiamarsi “Amicizia” sarei scoppiata a ridere, qui invece suona bene. E suona bene anche dentro di me.