domenica 4 settembre 2011

Le sciarpe del coraggio

1/09
18:32

Questo pomeriggio sono tornata da loro. Ho superato le bancarelle colorate di Shromeda, ho girato a sinistra quando ho visto il cartello verde “Former Women Fuel wood Carriers Association “e al cancello color verde acqua sono entrata. Sorridenti mi hanno salutata, alcune mi hanno stretto le mani tra le loro.

Sono andata a sedermi accanto a loro, sotto quella tettoia di metallo che usano come cucina, sala da pranzo e da lavoro. Il pranzo era quasi pronto e l’odore di carne impregnava l’aria intorno a noi. Mi hanno offerto un pezzo di pane rosato preparato da una di loro, era ancora tiepido. Somigliava a quello che a volte compro al panificio sotto al nostro palazzo, solo un po’ più dolce, buono come il pane fatto in casa. Si sono riunite tutte intorno ad un piano circolare su cui è stata poggiata una grande injera con sopra la carne. Almeno cinque volte mi hanno chiesto se ne volevo un po’ e nonostante ogni volta rispondessi che avevo già pranzato, hanno preparato un piattino per me e la mia compagna. Il loro fornello è un cumulo di legna che ogni volta accendono in pochi minuti, forse per questo il sapore era così buono. Hanno mangiato in pochi minuti e poi subito si sono rimesse a lavoro: una a sparecchiare, una a preparare il caffè e le altre sedute sulle loro scomode panche ad annodare le frange delle loro sciarpe.

Fino a circa un anno fa trasportavano legname sulle loro schiene che adesso sono curve, poi grazie ad alcuni aiuti si sono riunite in un’associazione che produce sciarpe, borse e spezie. In tutto sono alcune centinaia, circa una trentina quelle che tessono. Le più anziane si svegliano presto la mattina e lavorano per alcune ore mentre le più giovani e veloci stanno ancora dormendo. In media impiegano due ore per sciarpa, ma le producono otto alla volta e poi le tagliano. Una volta tagliate annodano i piccoli filamenti finali per concludere il loro lavoro. È questo quello che stanno facendo mentre sono seduta di fronte a loro a fare delle domande e a scoprire i loro pensieri. Gli abbiamo appena comunicato che AIESEC Ethiopia ha venduto duecento delle loro sciarpe durante il Congresso Internazionale in Kenya. I loro visi per un attimo si illuminano. I ringraziamenti sembrano non finire mai. Chiedo alla più anziana del gruppo qual è la sua speranza per il futuro: continuare a vivere in pace qui, lavorando. Sembra assurdo che questa frase l’abbia detta una donna che guadagna circa dieci euro al mese. È lo stipendio medio, anche per quelle che hanno dei figli. Bambini il cui futuro non ha colore, alla cui istruzione non è mai stata aperta la porta. Madri che lavorano ogni giorno duramente, le cui mani sono spesse e rovinate, i cui lineamenti sono forti come la vita che stanno vivendo. Donne che non si arrendono.
Ed è proprio la loro forza e il loro lavoro che aprirà quella porta. AIESEC Ethiopia ha iniziato a vendere le loro sciarpe e parte dei ricavi andrà a costituire un fondo per volontari internazionali che arriveranno durante tutto l’anno per dare ai loro figli un’istruzione di base. Chissà se si renderanno conto che è il loro sudore il merito di tutto questo.

Ho chiesto loro cosa vogliono che sentano le persone che adesso nel mondo iniziano ad indossare le loro sciarpe. Mi hanno risposto che sperano che queste persone pensino anche a loro e al loro duro lavoro.

Io la sto indossando e sento il calore del loro coraggio che mi scalda il collo.

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